Articolo a cura della Dott.ssa Ilaria Falvo– Nutrizionista

La sindrome dell’intestino irritabile (IBS) è il più diffuso disturbo funzionale intestinale che colpisce, si stima, tra il 7 e il 20% della popolazione mondiale.

È una condizione cronica dolorosa e debilitante che spesso genera ansia ed incide negativamente sulla qualità della vita delle persone e, nonostante ciò, è nella maggior parte dei casi sottovalutata e trattata in maniera non corretta sia dal punto di vista medico, che dal punto di vista dietetico.

Come riconoscere l’IBS?

Si stima che solo un terzo dei casi di IBS venga diagnosticato in maniera corretta, si parla del cosiddetto “effetto iceberg”.

Secondo le linee guida dell’Istituto Superiore di Sanità è necessario sospettare IBS quando il soggetto riferisce uno dei seguenti sintomi per almeno 6 mesi:

  • dolore o discomfort addominale;
  • gonfiore e alvo variabile.

Inoltre si consiglia di prendere in considerazione la diagnosi di IBS solo se il dolore o discomfort intestinale è alleviato dall’evacuazione o associato ad alterazione della consistenza delle feci o ad alvo alterno.

Nella maggior parte dei casi i sintomi peggiorano in corrispondenza dei pasti e può essere presente muco a livello fecale.

È importante e necessario rivolgersi al proprio medico per escludere altre patologie, come la celiachia, neoplasie o malattie infiammatorie intestinali (MICI).

Quali sono le cause dell’IBS?

Le cause dell’insorgenza dell’IBS non sono chiare e molto probabilmente l’eziopatogenesi è multifattoriale.

Tra i fattori che possono causare IBS troviamo per esempio alterazioni del transito intestinale, che possono essere conseguenza di cambiamenti della funzionalità degli enterociti, del microbiota intestinale o di disfunzioni neuromuscolari; troviamo poi l’ipersensibilità viscerale dovuta a disfunzioni dell’asse intestino-cervello, ossia tutte quelle connessioni nervose che sono responsabili della sensibilità dolorosa e della motilità dell’intestino.

Un altro importante fattore che può contribuire all’insorgenza dell’IBS è l’alterazione del microbiota intestinale ossia della nostra flora batterica intestinale, le cosiddette disbiosi.

Le disbiosi intestinali possono essere di vario tipo, causate da diete scorrette, dall’uso frequente di antibiotici o di farmaci gastroprotettori o da infezioni intestinali.

Altre potenziali cause dell’IBS sono per esempio l’aumento della permeabilità della mucosa intestinale, correlata spesso ad un’attivazione del sistema immunitario come si osserva nei casi si IBS innescati da gastroenteriti.

Esiste un protocollo dietetico specifico per IBS?

Sono diversi i protocolli dietetici che sono stati proposti negli anni per migliorare la sintomatologia di pazienti affetti da IBS, ma quasi sempre non si sono dimostrati risolutivi.

Nella maggior parte dei casi sono diete molto restrittive che partono dal presupposto che l’eliminazione definitiva di un dato alimento possa migliorare i sintomi e risolvere l’IBS, come per esempio le diete prive di glutine o prive di lattosio o a basso contenuto di grassi.

A meno che non ci sia un’intolleranza o un’allergia accertata, qualsiasi restrizione dietetica o eliminazione di un dato alimento è da considerarsi un fallimento, in quanto comporta la riduzione di nutrienti e di variabilità della dieta.

A partire dal 2005 è stato introdotto il concetto di FODMAP (Fermentable Oligosaccharides, Disaccharides, Monosaccharides and Polyols, in italiano oligosaccaridi, disaccaridi, monosaccaridi e polioli fermentabili), ossia quell’insieme di carboidrati a corta catena che vengono scarsamente assorbiti, richiamano acqua all’interno delle anse intestinali e vengono fermentati dalla flora batterica.

Nei primi studi pubblicati sui FODMAP venne proposto che una riduzione nell’assunzione di tali carboidrati avrebbe minimizzato lo stiramento della parete intestinale, riducendo la stimolazione del sistema nervoso enterico, avrebbe regolarizzato il transito intestinale e l’eccessiva fermentazione, fornendo la possibilità di ridurre i sintomi nelle persone affette da IBS.

È possibile seguire una dieta a basso contenuto di FODMAP?

La low-FODMAP diet è un protocollo dietetico molto particolare

Si compone di 3 fasi:

  • fase 1 prevede l’esclusione degli alimenti ad alto contenuto di FODMAP per un periodo di circa 6 settimane;
  • fase 2 prevede la reintroduzione di un alimento per ciascun sottogruppo di FODMAP, in modo da identificare la sensibilità specifica dell’individuo e quindi capire quale tipologia di fodmap inneschi la sintomatologia;
  • fase 3 ha lo scopo di creare una dieta personalizzata che consenta di tenere a bada i disturbi intestinali, riducendo al minimo ogni eventuale restrizione dietetica e consentendo un maggior consumo di fibra prebiotica.

Le diete a basso contenuto di FODMAP sono risultate risolutive in circa il 70% dei soggetti affetti da IBS; rimane purtroppo un 30% di casi in cui non determinano un miglioramento della condizione, ma anche in quel caso consentono di escludere l’alimentazione come innesco dei sintomi e consentono un corretto indirizzamento verso eventuali altri percorsi terapeutici.

Attenzione: questo protocollo non deve essere adottato senza la supervisione di un professionista sanitario specializzato nell’elaborazione di queste diete!

Il fai da te non solo potrebbe non sortire effetti benefici, ma addirittura aggravare una situazione infiammatoria già in atto o ritardare la diagnosi di altre patologie.

Bisogna cambiare l’approccio finora utilizzato nel trattamento della sindrome del colon irritabile; è necessario un approccio multidisciplinare che non cerchi soluzioni definitive per una condizione cronica e multifattoriale come quella dell’IBS, ma che proponga un percorso terapeutico e dietetico che dia al paziente gli strumenti necessari a gestire e a ridurre la sintomatologia, migliorandone la qualità della vita.

Presso il poliambulatorio FKTherapy di Ponte Taro di Noceto in provincia di Parma lavora la Dott.ssa Ilaria Falvo, Biologa Nutrizionista specializzata in Scienza dell’Alimentazione e Dietetica applicata.

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